Ascheri

Ascheri è un toponimo che si ritrova nei dintorni del comune di La Morra: è il simbolo di una continuità con la terra che ascrive questa famiglia di vignaioli nell’albo d’oro delle famiglie del vino dalla storia secolare. Ne è consapevole e orgoglioso senza supponenza Matteo, classe 1962, sesta generazione di cui si conosce con certezza la discendenza di padre in figlio, anche se nel Regestum communis Albae figura Ascheri già nel 1196.

E’ il secolo XIX l’incipit vero e proprio dell’Azienda, con scelte agronomiche e commerciali già d’avanguardia. E’ un omonimo di Matteo all’inizio del 1800 ad adottare il filo di ferro per reggere i filari. Un’invenzione avveneristica che già fa presagire di come questa famiglia sappia vivere il presente guardando al futuro. Ogni volta che vedete un filare sorretto dalla trama dei fili di ferro ricordatevi che su quel filare c’è la firma Ascheri. E scusate se è poco. La terra d’origine è La Morra, la Langa del Barolo, ma alla metà del 1800 quel territorio prezioso per l’uva diventa limitativo per il commercio, defilato com’è dalle vie di comunicazione, mal collegato con le ferrovie al loro esordio.

E’ un Giacomo Ascheri a prendere la grande decisione e a scendere a Bra. Presente, passato e futuro si ritrovano anche nei nomi: Matteo e Giacomo si alternano con continuità. Anche oggi Matteo, figlio di Giacomo, è padre di Giacomo, e inevitabilmente ci sarà un figlio Matteo. “Per rispetto” dice il Matteo in carica, e quella parola sulle sue labbra di vignaiolo – manager suona particolarmente importante.

Bra è terra di fertili ingegni, oltre che di fertili terreni: una vocazione industriale nel secolo XIX che si è trasformata in vocazione orticola nel secolo XX.

Una riconversione che Valerio Castronovo definisce il fenomeno Bra. Un luogo che dà i natali a un uomo di cui abbiamo già parlato, quel Carlo Petrini, ideatore di Slow Food, comunicatore internazionale sapendo poco di inglese, molto di dialetto del Roero, ma capace di farsi capire da Carlo Principe di Galles. Sarà per via dello stesso nome.

Bra dunque la meta degli Ascheri, che rinunciano a risiedere a La Morra, ma non a quei terreni dove continuano a produrre vini d’eccellenza. Chi rinuncerebbe al Barolo?

La scelta di Bra è un fatto di marketing si direbbe oggi. La città infatti è in zona strategica, è ben collegata e ha già dimostrato di essere ottimo centro di smistamento per il mercato dei formaggi. A Bra non ci sono caseifici, eppure c’è un formaggio che si chiama Bra: perché qui avveniva la stagionatura dei prodotti degli alpeggi e delle vallate, e da qui le Tome affluivano ai mercati, soprattutto a quello di Torino dove c’erano la corte e le risorse che garantivano gli acquisti. In via Piumati a Bra gli Ascheri impiantano la nuova cantina, a Bra imbottigliano il Barolo. Sono tra i primi a metterlo in vetro e a venderlo con stile moderno. Fino a quel momento il Barolo viaggiava nelle carrà, in piccole botti, sfuso come un qualunque vino. E’ un nonno Matteo l’innovatore, che riesce anche ad avviare un commercio oltre confine. Precursori ancora una volta. La crisi del 1929 crea qualche problema molte cantine chiudono, ma non ferma l’intraprendenza soprattutto di Giacomo, padre del Matteo di oggi che con grande lungimiranza valica i confini.

Così in Casa Ascheri, negli anni Sessanta, si perpetua una situazione che risale all’epoca preistorica.

L’uomo a caccia, o alla guerra, la donna in casa a badare alla prole, a pensare al vivere quotidiano. Giacomo è spesso lontano, ma su tutti e tutto vigila Maria Cristina, figlia, moglie, madre di vignaioli. La definizione è sua, ma non vi inganni. Non è una contadina vestita di scuro, col fazzoletto in testa, come vuole l’iconografia delle donne di Langa. E’ una signora di garbata eleganza piemontese, sempre con l’abito giusto per ogni occasione, con frequentazioni importanti, priva di qualsiasi ostentazione. Che Matteo e sua sorella abbiano voluto dedicare a lei, con il nome in etichetta, il moscato dai mille profumi non stupisce. E’ il minimo che potessero fare.

Maria Cristina ci ha fatto fare un salto in un presente per così dire laterale. Dobbiamo tornare a quella prima cantina di Bra, piccola ma ben attrezzata per quegli anni.

Il secolo XX avanza, innestando quel ritmo frenetico che diventerà parossismo nei nostri anni. Per gli Ascheri il ritmo è quello della natura. Una cosa per volta, secondo i tempi delle stagioni. Questo vuol dire pensare il presente, radicandosi al passato, proiettandosi nel futuro. La solidità è la filosofia di impresa su cui insiste il Matteo della sesta generazione, con antenati dell’anno Mille. La buona risposta del mercato, il 90% delle bottiglie in giro per il mondo suggerisce che forse si può fare di più. Le Cantine Ascheri sono un’isola, un borgo: l’azienda, la casa, un borgo del vino, che comincia a chiedere qualche novità. Si comincia con il rinnovare la cantina, rifacendola senza esibizionismi. Intanto passato il periodo della fame post bellica, il cibo diventa elemento di piacere. Slow, a Bra.

Così la vecchia cantina si fa Osteria, Murivecchi, perché sono quelli degli inizi a Bra. Un’osteria dal sapere antico, attenta allo stile di vita del presente, che osa guardare al futuro della tavola. Questa triplice percezione del vivere segna ancora una volta un successo. E viene il momento anche per l’ospitalità totale, e sarà l’albergo: dove? Sopra la nuova cantina. La cittadella Ascheri è questa, blindata nella sua storia, aperta a ogni possibile evoluzione, ma sempre nei confini segnati da quel trasferimento a Bra.

In questo raccontare questa saga familiare, è passato in secondo piano Matteo sesta generazione, per un motivo molto semplice, perché solo raccontando che cosa gli sta alle spalle, la sua figura acquista il valore che merita.

Una laurea in economia e commercio, suggerita dal padre, (la sorella sceglierà le lingue, non casualmente) non lo tiene lontano dalla vigna, anzi alimenta in lui il desiderio di nuove esperienze. I classici Barolo, Nebbiolo, Dolcetto, Barbera, con le loro valenze e sfumature hanno in lui un garante della continuità. In campagna collaboratori da sempre sono l’esperienza fatta persona. In cantina la tecnologia assicura la qualità che un tempo era spesso aleatoria o casuale. Il terreno, il terroir, questa la sirena che coinvolge Matteo e lo spinge a scelte ardite e coraggiose. Le Terre di Bra diventano palestra per lo Syrah, per il Voignier. Il passato è dei vitigni irrinunciabili per i vini Ascheri famosi, il presente è sfida personale con nuovi impianti, il futuro prospetta per questi vini un naturale successo. Matteo è un leader e lo sa.

 

Quando pensa a come distinguersi cita la musica perché l’Ascheri è tutta un contrappunto, che risolve le dissonanze in armonia. Dove l’uomo ha lo scettro, ma le donne il comando. Un piccolo segreto. Non rivelateglielo.

 

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